IL NIDO DELLE RONDINI

“Lasciati stare, Oriana. Lasciati un pò in pace! Non ti pare che ne hai passate già troppe per metterci anche il resto? Lasciati un pò in pace!”

Qualche giorno fa mia madre mi ha risposto così a seguito di uno dei miei sfoghi sui mille dubbi che ho sulla mia vita e sui rapporti, le relazioni, i ruoli che ho nelle vite degli altri, tutte cose che le racconto per distrarla un pò dall’argomento principale di questo ultimo mese, papà e questo cancro che si è affezionato a lui.

Cosi, dicevo, ha sonoramente chiuso il discorso, abbandonando la sua notoria diplomazia e la sua proverbiale dolcezza, a muso duro, ha messo il punto.

“Basta pretendere da te stessa più di quanto tu già non abbia fatto o dato. A tutti.”

Basta buttare il cuore oltre il confine, che poi devi andare a riprenderlo senza l’aiuto di nessuno, senza il supporto in cui speravi, tornare da sola verso il tuo rifugio, con tutti i problemi di orientamento e le distrazioni che tipicamente intervengono nei percorsi già impervi che la vita ci riserva quando, appunto, commettiamo l’imprudenza di esporci eccessivamente a rischi che inizialmente, stupidamente, non percepiamo.

Perché non è tanto l’ipotesi di perdersi il problema, ma il fatto che questa possibilità porta con se la fatica del ritrovarsi e la probabilità di non recuperare mai più l’equilibrio che si aveva prima, di non raggiungere più la meta giusta per noi, di non superare più la soglia della casa adatta a ripararci.

La casa, si,  il rifugio, un luogo che a volte è solo un posto, ma che normalmente è il punto in cui le paure si attenuano, si ci sente protetti e in grado di fermarsi a ragionare.

A ragionare, non a pensare.

Che ragionare richiede lo sforzo dell’applicazione della logica, la ricerca di soluzioni e non banalmente la riesumazione di un ricordo, di un pensiero, negativo o positivo che sia.

Ragionare richiede gestire le conseguenze di quei ricordi riesumati, studiarli e decidere che valore dargli nella nostra scala delle cose importanti.

Ragionare richiede la valutazione attenta dei risvolti di quei pensieri che improvvisamente (o forse sarebbe meglio dire: finalmente!) arrivano e illuminano gli angoli bui del nostro cervello, ma che non possono restare banalmente una lucina accesa, devono essere supportati da azioni consequenziali, che diano un senso fattivo a quella illuminazione, che conferiscano una dimensione concreta alle considerazioni a cui siamo arrivati, e che gli consentano di renderci migliori, o quanto meno di semplificarci una seppur minima parte della nostra esistenza.

E il posto dove poter fare tutto questo deve essere riparo dalle interferenze di qualsiasi tipo, un luogo dove sentirsi a proprio agio con tutte le piccole certezze che creano lo zoccolo duro del nostro andare avanti.

Sapere esattamente il posto di ogni cosa per averla a portata di mano in caso di necessità.  Che non vuol dire saperla al proprio posto, ma significa sapere dove trovarla.

A casa mia avevamo una stanza, per esempio, la chiamavamo la camera “degli imbrogli” e tutte le volte che qualcosa non si trovava automaticamente sapevamo che stava lì.

E c’era sempre un gran casino, cose accumulate di ogni genere, ma mia madre sapeva sempre esattamente dove mettere le mani e trovare quello che stavamo cercando.

Per anni ho pensato che la mia stanza “degli imbrogli” fosse il posto in cui abitualmente rientravo la sera, dopo l’università prima e dopo il lavoro poi. In tutte le case in cui ho vissuto ho sempre avuto il controllo delle cose più importanti. Oggetti, relazioni, sentimenti.

Poi sono stata casa a mia volta. Quando mi guardo allo specchio e vedo il mio punto vita fortunatamente ben definito e proporzionato ricordo sempre che in quello spazio ho custodito la vita della mia coinquilina bionda, da quando era un girino a quando scalciava e si stiracchiava sui miei reni, da quando tutte le notti aveva il singhiozzo e mi teneva sveglia fino a quando alla fine si è girata accoccolandosi comodamente sulla mia sciatica.

Sono stata culla, sono stata nutrimento, sono stata riparo. E quando ho smesso di esserlo i miei fianchi sono tornati ad essere solo una bella curva del mio corpo, tuttora ben proporzionata, grazie al cielo! Ed è forse proprio per questo che amo così tanto le mie rotondità e i miei fianchi burrosi, nonostante il mio bacino irrimediabilmente ossuto. Perché sono state casa.

Dopo la separazione, ho vissuto sporadicamente a casa di un uomo che ho frequentato per un pò e lo scorso anno ci sono tornata, a distanza di anni, per una visita. Incredibilmente le mie cose erano ancora tutte esattamente dove le avevo lasciate. All’inizio la cosa mi ha spaventata un pò, poi invece ho provato un inaspettato senso di serenità. Mi sono sentita a casa.

Ho poi sentito la mia casa in un abbraccio, uno specifico petto, due possenti braccia, una curva tra la l’orecchio e la spalla con un odore inconfondibile. Quello era il posto dove ho potuto trovare ogni cosa, sentirmi al sicuro. Ragionare liberamente.

Ma non era nemmeno quella casa, come non lo è l’appartamento in cui vivo ora, che mi nasconde gli oggetti a cui più tengo.

Come l’altra sera, che sono andata a letto arrabbiata perché per tutto il pomeriggio avevo cercato un libro che non ho ancora letto, ma che mi da conforto avere vicino insieme ad altri che mi sono stati regalati. Ed infatti pensavo di averlo accanto al letto, dove tengo di solito questi libri per me preziosi.

La mattina mi sono svegliata con un senso di fastidio profondo, ho fatto il percorso solito verso il balcone per alzare le tapparelle e scoprire che tempo facesse, e sono inciampata in un testo scolastico di Anna, lasciato a terra durante la sua frettolose trasferta a casa del papà del giorno prima. Allora ho preso il libro di Anna e l’ho portato verso lo scaffale dove teniamo i suoi libri, con l’espressione disorientata che ho di solito al mattino, aggravata dalla sensazione di paura dello scampato pericolo di una caduta rovinosa.

Ed era lì, il mio libro, era lì pacifico tra i libri di Anna. Come ci sarà finito non lo so, ma in quel momento mi si è rivelata una verità importante.

“Casa” è una situazione fortunosa, e anche se non ho raggiunto ancora questo tanto ambito traguardo, posso farne a meno, per il momento.

Ragionare in balia delle incertezze non sarà cosa facile, ma non è infattibile.

Qualcuno che si prende cura di me da tanto, mi ha recentemente detto che ho degli standard troppo elevati per me stessa e che alzo di continuo l’asticella per quello che mi aspetto da me, e molto probabilmente lo sto facendo ancora, me ne rendo conto, ma so che posso riuscirci o comunque devo provarci.

Poi, quando il ragionamento non si compirà come dovrebbe perché il luogo non è quello più giusto per aiutarmi a visualizzare le soluzioni pratiche con serenità e lucidità, e non mi porterà a nulla di concretizzabile, ora so che dovrò solo lasciarmi stare.

E lasciare che l’Universo compia da solo la sua magia e sistemi le cose che mi aspettano o che mi aspetto (perché no?) non necessariamente al loro posto, ma più semplicemente dove io le potrò trovare.

Durante la telefonata con mia madre, ad un certo punto per cambiare discorso mentre mi sgridava le ho detto: “Ma hai notato che le rondini non sono ancora tornate? Che strano…”

E lei mi ha risposto che ci sono ma che non si sentono perchè per ora sono tornati solo i maschi, i rondoni li chiama lei, che stanno costruendo il nido. Si faranno sentire quando vorranno accoppiarsi e canteranno il loro richiamo a squarciagola riempiendo i silenzi di queste mattine di quarantena con i loro garriti da conquistatori e i cieli azzurri di coreografiche danze incantevoli.

Quando casa sarà pronta.

“Lascia fare.”

 

 

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Illustrazione di Holly Stapleton – Alone, Together.

2 pensieri su “IL NIDO DELLE RONDINI

  1. Anna Colosimo ha detto:

    Le parole di una madre,tua madre:belle e vere,dette con il cuore,perché noi mamme desideriamo il meglio x i nostri figli.E’vero,forse la vita ti ha reso piu esigente,tante volte forse hai fatto un passo indietro.Non sono brava tanto con le parole,ma ti auguro tutto il bene…..NB un un’abbraccio forte x papà

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