Sono belli gli uomini che vengono a prenderti già brilli, si siedono lato passeggero e ti lasciano le chiavi dell’auto in mano.
– Guida tu, così io ti guardo, che mi rilassa guardarti che sorridi e parli.
– Ma io sta macchina cosi grossa non l’ho mai guidata….
– Ma io non ce la faccio.
E guidi, perchè sono belli gli uomini che fanno pace con le loro debolezze e ti chiedono aiuto, e tanto ce l’hai scritto in fronte che sei abituata a farcela anche per gli altri.
E guidi, sorridi, parli, ascolti.
E poi sono belli gli uomini che, sempre più brilli, scendono dalla macchina con tutti i loro 100 kg di muscoli e addominali e tatuaggi, e ti prendono per mano.
Non per sostenerti, non per condurti, ma per sincerarsi che resterai al loro fianco.
Gli uomini che improvvisamente si stanno sentendo la terra venir meno sotto i piedi, per colpa di una donna (perchè è sempre colpa di una donna) ma che nonostante ciò devono continuare a camminare nel vuoto e cercano un gancetto su cui poggiare il proprio baricentro per mantenere l’equilibrio.
Soltanto per un pò, perchè lo sanno, lo hanno capito che anche tu cammini sospesa, che anche tu stai cercando solo il tuo gancetto, e che tu non pesi 100 kg e sposti rapida il baricentro, ritrovi più agilmente l’equilibrio anche altrove, ti appoggi ma sei leggera, quasi impercettibile.
Del tuo peso si percepisce solo il piacere di non sentirsi soli, di non doversi preoccupare di incastri, prospettive e simili.
Spicchi il volo quando non ti serve più alcun appoggio, perchè è facile volare via se non ti importa nulla del fiore su cui eri.
E sono belli gli uomini che durante un concerto ti abbracciano da dietro e dondolano con te mentre una cover band canta Rino Gaetano che, ammettilo, non è propriamente il tuo cantante preferito, ma a queste condizioni potrebbe diventarlo.
Potrebbe. Se non fosse che poi parte A mano a mano e quel balletto diventa evidentemente la recirpoca proiezione di qualcun altro.
Ballo con te, ma sei un’altra persona nella mia testa e io un’altra nella tua.
Però grazie che mi abbracci e mi stringi e per un momento mi fai sentire un altro battito di cuore che avevo nascosto in un cassetto chiuso a chiave della mia memoria.
Grazie che poi a letto ti dico che ho caldo e ti allontani, e poi mi guardi mentre mi arrotolo nel lenzuolo come un bruco nel suo bozzolo. Ma non dici nulla, ti accontenti di sapere che per sta notte non sarai solo e accanto a te ci sono io. Per sta notte però.
Perchè tu non li sai contare i miei nei, la tua spalla mi risulta scomoda per appoggiarci la testa, il tuo braccio si addormenta troppo in fretta sotto la mia nuca.
E sei troppo alto, baciarti mi infiamma la cervicale nonostante le mie zeppe chilometriche.
Il mio è freddo mentale e non voglio che me lo faccia passare tu, che comunque continui a guardarmi avvolta nella mia crisalide della Bassetti, al di là dei 40 gradi, che aspetto la luce del giorno sperando sia la volta buona per affrontare la fine del mondo.
Che come si dice: quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo la chiama farfalla.
Un pensiero su “Diario di una farfalla.”