La cura delle parole

Le mani che scrivono faticano a trovare i tasti sulla tastiera.

Il formicolio nelle dita impedisce il naturale movimento, le parole si incastrano tra i pensieri e il meccanismo si blocca.

Nella dinamica che è sempre stata fluida cuore, mente, scrittura, qualcosa è saltato.

Si è verificato un tilt, ed è una conseguenza del male che nasce dal momento che volere e potere non coincidono più.

Sfiorare la felicità, poi vederla svanire nel peggiore dei modi.

Dover ripartire da un dolore devastante che ha fatto tabula rasa di tutto quanto si era costruito già sullo stesso dolore, che aveva provato ad insegnare e dal quale invece non si era imparato abbastanza.

Richiudere tutto in una scatola, spazzare via i capelli, cambiare le lenzuola, buttare, provare a dimenticare il vissuto e a ricordare dove hai perso le energie, cercare di recuperarle e non riuscirci.

Non aver alcuno strumento per rialzarsi, ricostruire, riconoscersi.

E allora affidarsi all’unica cura disponibile, quella delle parole.

Le parole che si ricordano, e in questi casi le prime che tornano sono le parole belle, le dichiarazioni di intenti costruttivi, la prima persona plurale davanti a verbi coniugati al futuro, le frasi che hanno convinto l’inconscio ad abbandonarti, a renderti incosciente appunto, a lasciarti ai tuoi istinti.

E siccome sono parole che non aiutano ad andare avanti, la ricerca di quelle che possano essere più giuste continua nelle mail, nei messaggi, dove rimbombano i risentimenti, i ribaltamenti di colpe, le riesumazioni di tutti i sogni morti ammazzati dai fraintendimenti, dalle chiusure senza se e senza ma.

E rieccole che spuntano parole come “Amore”, quella che ti scalda sempre un pò, anche quando è in negativo, quando è un accusa, quasi un peccato di cui vergognarsi.

“Libertà”, ma di quelle che non finisce dove inizia quella dell’altro e che è una bugia consapevolmente dichiarata perchè nessuno può sentirsi libero se non può stare con la persona che ama.

“Fiducia”, quella che ti devi conquistare, ma che devi essere pronta a concedere senza preoccuparti, senza meriti, come quando affidi una preghiera al vento nella speranza che arrivi a un Dio che forse nemmeno si ricorda più di te, ma ti guarda dall’alto con superbia.

“Esasperazione”, di due che non si vogliono capire, perchè quello si che vorrebbe dire essere adulti, due che non sanno incastrare gli spigoli dell’uno negli angoli dell’altro. Di chi ruba il sonno e di chi ruba i sogni.

E comunque non basta. Pensare al brutto non controbilancia ancora tutto il bello, vero o idealizzato che fosse, e allora di parole ne servono altre.

Le parole che curano alla fine te le fanno trovare quelli che si siedono accanto a te e ascoltano.

Quelli che ti lasciano parlare, anche quando sembra che tu dica sempre la stessa cosa.

Loro lo sanno che non è vero, perchè ogni volta aggiungi qualche parole nuova e loro te la fanno notare, sussurandotela all’orecchio. Parole tipo “Coraggio”. “Forza”.  “Speranza”. “Domani”.

Quelli che resistono alla tentazione di ritenerti, adesso, l’unica colpevole della sofferenza che provi.

Perchè dopo tutto quello che è successo, ancora non stacchi definitamente la spina a questo sentimento che è entrato in coma, vive legato ad un filo che assomiglia ad un cappio, alla speranza che sia stato tutto solo un grande incubo. Ed è segretamente vigile e ti scuote ogni giorno, quando meno te lo aspetti.

Che se stai male dopo tutto quello che ti ha fatto, allora il problema sei tu che non diventi improvvisamente capace di odiare, rinneggare tutto quello che ti ha fatta sentire viva, allontanare il pensiero, lobotomizzarti e cancellare un pezzo della tua vita.

Tu, che la devi finire di amare chi vuoi tu.

Non ti è più concesso, non sei più giustificabile e quindi, non ti meriti più nemmeno lo sforzo della comprensione, la pazienza dell’ascolto, la cortesia di una risposta.

Tu che devi pensare adesso a tutto il male, snaturarti e diventare come chi ti ha fatto arrivare a questa situazione: distaccata, fredda, cinica, egoista ed egocentrica.

Essere come ciò che ti divora.

Ma questo significherebbe riuscire a modellarsi come una pallina di plastilina, in un momento in cui ti senti piuttosto la teca di un cuore di cristallo e una testa di pietra.

Fragile dove tutti ti vorrebbero trincerata e inpenetrabile dove invece chiunque vorrebbe entrare per mettere ordine.

Tu che ti ritrovi sbattuta in una situazione che non avresti mai voluto, che la stai subendo.

Che le tue sicurezze le hai perse al punto che anche camminare al di fuori del tuo quartiere ti rende un pò nervosa, per la paura di incrociare sguardi che un tempo cercavano i tuoi occhi, e vederli guardare altri occhi, di vedere mani che prima stringevano la tua, stringerne un’altra.

E allora cammini con lo sguardo basso e fissi la strada, oppure un punto indefinito davanti a te con un ampio filtro sfocatura attorno a quel punto per tralasciare tutto il contorno.

Perchè come ha giustamente sintetizzato una di quelle persone che mi ascolterebbe ripetere la mia cantilena per ore e a qualsiasi ora, è come quando ti rubano qualcosa di prezioso, che tu non avresti mai voluto perdere e che spontaneamente continui a desiderare di ritrovare.

Lo avevi lì fino ad un attimo prima, ti sei distratta un attimo, e non c’era più.
Qualcuno te lo aveva tolto senza avvertire, senza che tu potessi provare a proteggerlo.

E non si aiuta una persona che ha perso contro la sua volontà qualcosa a cui teneva con l’arroganza che ha chi pensa di sapere cosa sarebbe giusto fare meglio della diretta interessata, o con gli abbandoni, o con la provocazione di chi vorrebbe farla sentire stupida perchè pensa, e si fa un sacco di domande.

Le parole che curano sono quelle che svuotano un pò alla volta il sacco degli irrisolti, spengono la tristezza, il senso di solitudine, il risucchio del vuoto che si sente dentro, e si, anche la preoccupazione per chi non si rivedrà più sapendo che nel frattempo continuerà a gettare le colpe altrove, precludendosi ogni possibilità di recuperare, se non altro, se stesso.

Sono le parole che ricuciranno e saranno come toppe sugli strappi creati da un’esplosione che ha stracciato anima e corpo, disperso i brandelli in ogni angolo di una casa che non è mai stata casa pur essendolo sembrato, dove saranno stati risucchiati dall’aspirapolvere insieme ai frammenti di un bicchiere da wiskey.

Perchè in questo caso chi ha rotto non ha pagato e si è tenuto pure i cocci.

E in più, il bicchiere da wiskey puoi ricomprarlo. Tutto il resto no.

 

 

 

 

 

 

 

2 pensieri su “La cura delle parole

  1. Anna Colosimo ha detto:

    Come sempre mi.lasci senza fiato e parole.Piu`ti leggo,più mi spaventi,e mi chiedo cosa devi aver subito per aver scatenato questo uragano in te.Gia`ti vedo:un’onda gigantesca che ti coglie di sorpresa e ti sbatte da una parte all’altra e ti fa come dici tu,a brandelli.Ormai sarai piena di tutte le parole,dette e ridette da noi che vogliamo,vorremmo risollevarti,ma tu aspetti altre parole.Io continuo a dirti che sai veramente nascondere di giorno questa tempesta,ma la notte ti vedo in un angolo spaventata.Purtruppo devi farti il lavaggio del cervello da sola,ma non dimenticare mai che tu hai perso,ma lui un giono si mangerà le mani,non lo.fara’mandalo a vaf…scarabocchialo.Virtualmente ti abbraccio,anima in tempesta.Il bicchiere di whisky lo ricompri,tutto il resto no,soprattutto la vita,la salute e credimi arriverà l’arcobaleno…Sarà un nuovo amore,o altro…ma tu sorridi,sorridi,non perderlo questo sorriso.

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  2. OriAnna Tube ha detto:

    cara Anna, cara veramente. Grazie per questa tua vicinanza… Mi hai vista con i tuoi occhi camminare sempre dritta con la schiena, e non ho intenzione di cambiare.
    Diamo tempo al tempo, perchè sono d’accordo con te: l’arcobaleno torna… e con il prossimo wiskey brinderemo all’eleganza di chi ha capito cosa vuole e no si arrende. ❤
    Ti abbraccio!

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