Tutto Torna

È silenziosa la solitudine.

I miei vicini di casa che fino a qualche settimana fa si lanciavano piatti  e sedie e uscivano di casa sempre strillandosi insulti e sbattendo violentemente la porta, da qualche giorno li sento solo suonare canzoni di Battisti alla chitarra, e quando portano a turno giù Mauro, il cane, si salutano con un sereno ‘sto scendendo amó!’ strillato dall’uscio della casa, che fa pacificamente eco nella tromba delle scale.

Anche Angelica, la bimba del piano di sotto che tutte le mattine canta insieme ai genitori “tanti auguri a te”, festeggiando un infinito compleanno giusto nelle delicatissime ore in cui io sto abbandonando la mia fase rem, non si sente più.

Solo i gabbiani, che litigano sui secchioni dell’immondizia, riempiono il silenzio di queste giornate.

Ed è bianca la solitudine.

Ha il colore della ricrescita di una donna che non può andare dal parrucchiere e vive con fastidio la consapevolezza di non essere in grado di farsi la tinta da sola, e l’insofferenza di non avere nessuno accanto che le ricordi di essere bella lo stesso.

Un uomo non lo capirebbe mai. L’aria trasandata, la barba incolta e il bianco tra i capelli lo rende più vissuto, temerario. E’ chic e non impegna e anzi forse lo fa sentire anche più virile. Una donna invece si sente semplicemente sciatta se non si prende cura, con il giusto trattamento, di ogni tipo di pelo che le spunti.

Ed è malinconica la solitudine.

Ho sempre compreso poco le persone che amano stare da sole, ho sempre pensato che fosse insano restare troppo tempo con i propri pensieri, con gli occhi pieni solo di oggetti e immagini e non di altri sguardi, altri visi.

Si ci può sentire diversi, unici, sereni nelle proprie cose e nelle proprie convinzioni, ma arriva sempre un momento in cui si sente il bisogno di presenze e dialogo.

La solitudine per scelta, quella non la capisco proprio.

Anche fosse vista come momento di alienazione liberatoria, o come atteggiamento di grande protezione del sè, di quella parte intima e spesso confusa di noi che va protetta come un neonato dagli attacchi del resto del mondo. Anche in questi casi, non credo possa mai essere considerata un punto di arrivo, una conquista.

Forse è più interpretabile come l’inizio di un percorso che insegna la capacità di andare avanti e riempire i vuoti operativi e mentali con attività nuove e pensieri che tengano la mente concentrata sul prossimo passo da compiere, sulla prossima situazione da affrontare.

Un cammino che ci insegna ad osservare il nostro essere da un punto di vista più spirituale che individuale; a ridefinire sostanza e significato di ogni cosa, passata o futura, dando ascolto solo alla nostra componente più intima ed essendo, finalmente, impietosamente sinceri con noi stessi.

Ecco, anche questo è la solitudine: rivalutazione.

Uno stato che a volte, senza nemmeno rendersene conto, porta in modalità introspettiva e avvia anche dei processi di riemersione di cose che eravamo e avevamo dimenticato di essere, dei ritrovamenti di versioni di noi sempre esistite e mai conosciute, rimaste coperte da stratificazioni di costrutti sociali che automaticamente hanno influito sul nostro vivere, routine che ci hanno condizionati nel modo di proporci e di definirci.

Come quando l’oculista prova a capire quale sia l’occhiale migliore per un occhio stanco o pigro, e in pochi secondi e svariati cambi lente,  fa vedere al suo paziente la stessa immagine in mille modi diversi. Fino a trovare la visione più nitida.

E così é la solitudine, il momento in cui puoi rivedere tutta la tua vita con occhi nuovi e diversi. Riconsiderare le scelte fatte in passato, visualizzare che ogni decisione presa ha dato vita a grossi momenti di rimpianto o a profondi attimi di felicità. Realizzare che gli unici limiti sono stati quelli che si ci è imposti da soli. Comprendere che ogni decisione è collegata alla precedente, in una catena fatta di anelli indissolubili.  Prendere coscienza che il nostro tempo e le nostre energie non sono illimitati. Riponderare quindi le priorità.

E così diventa trasparenza la solitudine.

Fa sbocciare l’amore per la chiarezza, soprattutto se per troppo tempo si è preferito affidarsi alle sensazioni, alla lettura di ciò che era o poteva essere dedotto tra le righe, sia per chi parlava che per chi ascoltava.

Ed invece tra le righe non dovremmo lasciarci mai nulla, non dovremmo rendere quegli spazi immaginari il rifugio di chi cede alla conveniente tentazione di non capire, bisognerebbe rendere tutto estremamente chiaro, e se tutti imparassimo a farlo, questo diventerebbe il più semplice dei ganci per risollevarci dai baratri in cui caschiamo quando non comprendiamo, e non ci sarebbe più spazio per i fraintendimenti, le interpretazioni sbagliate.

E troppo spesso si ci spazientisce e si rinuncia a farsi capire, convinti che il problema sia solo di chi ascolta. Invece no. Quando si ci arrende in realtà il problema è un pò di tutti, perché si perde la possibilità di avere nuove visioni, quelle che nascono tipicamente dai confronti.

Ed infatti è anche confronto la solitudine, con se stessi. Ed è pazienza.

Dovremmo farlo tutti un faccia a faccia con lo specchio nei momenti di solitudine, e armarci della pazienza per prenderci finalmente lo spazio e il tempo necessario a scegliere le parole più giuste a chiarire i ragionamenti sospesi. Le parole più dense capaci di darci delle spiegazioni ragionate che definiscano i nostri conflitti lasciati irrisolti. Trovare delle motivazioni selezionate, scartando quelle che sono più scontate, le scuse più facili e immediate che, come spesso accade, sono contaminate da sentimenti negativi e superficiali, come la rabbia. Ricordarci che dietro la rabbia c’è sempre la paura. E che non ha senso avere paura della verità.

Sperimentare il concetto che è più facile accettarsi e amarsi per quello che si riflette o non si riflette ma è nell’essenza della persona che si vede nello specchio, difetti inclusi, piuttosto che sforzarsi di essere qualcosa che sembra migliore, e che forse agli altri potrebbe piacere di più, intrigare, ma che in realtà non siamo. Perché la felicità richiede un duro lavoro, su noi stessi prima di tutto.

E poi è un punto la solitudine.

Il punto alla fine di una frase, alla fine di una risposta, prima di andare a capo.

Io per esempio in questi giorni mi sono chiesta spesso cosa ci faccio qui, in una città che non è la mia, lontana dalla mia famiglia, lontana dal mio mare. E sola.

Ma poi mentre sistemavo le mie piante grasse, e lo facevo da sola in una scena che avevo immaginato completamente diversa, mi sono risposta che qui ci sono arrivata perché qui è dove io mi sono portata.

Qui è dove ho raggiunto una serie di traguardi che nemmeno avevo previsto, accresciuto il mio centro, conosciuto le versioni più estreme di legame, da quello che non si discute in nessun caso, a quello che sparisce ma non muore.

Perché qui ho imparato che è sempre meglio amare e poi perdere, piuttosto che non aver amato mai, come diceva qualcun altro. Ed è ancora meglio dopo aver provato mille volte a salvare tutto quello che c’era da salvare. Perché il più grande rischio è quello di non prendersi rischi.

Che sola sono adesso, ma non lo resterò. Tutto è temporaneo.

Finirà questa quarantena che sembra arrivata a darmi il tempo per prepararmi al nuovo.

E nel frattempo avrò compiuto la mia ricerca delle parole giuste, trovato le spiegazioni che mancano, elaborato il male che hanno fatto le parole dette senza attenzione, o peggio ancora quelle non dette, le promesse mai fatte, i ricordi che in questo periodo evito di affrontare. Ne farò un nuovo passo verso la mia coscienza (d’altra parte come si potrebbe imparare dai propri errori se non li ricordassimo?).

Metterò il mio punto.

Il percorso di una solitudine finisce sempre, prima o poi, e diventa (o torna ad essere) molto spesso una felicità che non si divide, ma si moltiplica grazie alla presenza di qualcun altro.

E la solitudine si fa a questo punto anche un pò speranza.

Come per un viaggiatore, che guarda le mappe prima di partire non tanto per orientarsi, ma per sognare il viaggio nei mesi che precedono la partenza, guarderò in prospettiva la vita e sognerò il futuro, certa della felicità che tornerà.

E allora preparo la bussola, a breve si riparte.

(…E anche la tinta, che la ricrescita avanza!)

Un pensiero su “Tutto Torna

  1. novecentomilaepiu ha detto:

    ” I miei vicini di casa che fino a qualche settimana fa si lanciavano piatti e sedie e uscivano di casa sempre strillandosi insulti e sbattendo violentemente la porta, da qualche giorno li sento solo suonare canzoni di Battisti alla chitarra”….. anche da me ci sono questi vicini, forse effetto della quarantena!
    Purtroppo scrivi una pagina che è comune a tutto il nostro Paese con tutti i problemi che comporta questo restare a casa….speriamo di venirne fuori al più presto!

    "Mi piace"

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