Senza sale

L’odore del pesce dal forno è andato in giro per tutta casa, la tavola è preparata, ho scelto la tovaglia colorata e i miei piatti preferiti.

– Hai pensato anche al vino? Ma che brava…e come si usa questo cavatappi?…non ha le braccia!

– Avvita, avvita…fa da solo!!

– Vero! Ma che figo! … come è andata la tua giornata?

 

La mia giornata… La mia giornata è iniziata ieri sera, mentre sistemavo casa ho ritrovato un vecchio rilevatore gps, mi era stato regalato perchè perdo sempre le chiavi.

Qualcuno era stato premuroso con me e, al suo solito, pratico e risolutivo. Pensavo che l’affarino fosse andato perduto come il legame che avevo con chi me l’aveva comprato, invece è risbucato.

Ho trattenuto lacrime salate, l’ho riattaccato alle chiavi ma non ho riattivato l’applicazione per farlo funzionare, ero concentrata sul non farmi troppe domande.

Mi sono detta: “è solo un oggetto, ha una funzione, un suo posto” e ho continuato a pulire.

Poi sta mattina sono andata a lavoro, ho pranzato con la mia amica Marina, sono tornata in ufficio con la sua macchina e quando la giornata era finita ho fatto per tornare alla mia auto, e …non trovavo più le chiavi.

Perse, insieme al rilevatore gps (non funzionante).

Tutto perso, un’altra volta.

Ho di nuovo ingoiato il nodo in gola, un bel respiro, ho chiamato un taxi e mi sono fatta portare a casa.

E mentre preparavo la cena mi ha chiamato la mia amica, per dirmi che aveva ritrovato le mie chiavi nella sua macchina.

Ho risentito l’umido sulle mie guance, il sale bruciare sulla pelle. Ho respirato di nuovo profondo e mi è partito un sorriso amaro.

Mi sono chiesta quante altre-mila volte il ricordo sarebbe tornato, andato, ritornato, riandato e poi tornato ancora.

Mi sono chiesta se questa cosa succede anche al contrario, se io torno, vado via, ritorno, rivado nella mente di chi mi aveva regalato quell’oggetto.

Ho continuato a cucinare, a pensare, con queste lacrime amare e anarchiche che mi appannavano la vista, ma intanto incartocciavo il pesce, assaggiavo la pasta per controllare la cottura, controllavo il sugo con le seppioline che sbollentava nella padella, affettavo i finocchi e le arance e sgranavo i melograni per l’insalatina creativa e colorata che tra poco ti porterò con il secondo.

Ho rigirato all’incontrario quella smorfia che avevo sul volto, l’ho fatta diventare un sorriso, come faccio ormai ogni volta che mi capita qualcosa di pesante.

Come quando entro distrattamente in cucina e mi ricordo dell’ultima volta in cui qualcuno cucinava per me come se fosse sempre stato lì, come se quella cucina l’avessimo scelta insieme, come se questa fosse casa nostra. E ora invece questa casa è solo un posto.

Risistemo le mie espressioni come faccio ogni volta che mi capita di rivivere un ricordo in una foto, aprire il cloud dei vecchi telefoni e trovare i video di una coppia felice e complice con due ragazzine sedute sui sedili posteriori della macchina, a cantare canzoni che nessuno di loro conosce di ritorno da una giornate a zonzo.

E mannaggia a me che fotografo tutto, registro la felicità come se potesse in questo modo durare per sempre, e invece diventa come un boomerang che torna quando non lo aspetti più e ti colpisce in fronte. Presa mancata, beccati ‘sto bernoccolo.

Allora mi sono concentrata sulla voglia di cucinare che pareva essere tornata, e poichè continuavo a condire a lacrime, ho evitato il sale.

Poi hai bussato tu, in un gesto istintivo ho sistemato la matita nei capelli e mi sono resa conto che …non mi ero cambiata.

In tuta, felpone e occhiali da vista, che non ci vedo nemmeno più, ti ho aperto la porta mi hai sorriso e ho spento il cervello.

Eccola la mia giornata: un continuo apri e chiudi i rubinetti, inghiottisci nodi di sale, accendi e spegni il cervello, training autogeno del tipo “sorridi dai, sorridi su!”.

Ma non voglio appesantire…

–  Ma niente di che, ho lavorato tanto però finalmente anche questo venerdì è passato. Mi aiuti a portare i piatti a tavola? Ho una fame…

E così, per qualche ora mi riempio della tua vita che mi racconti, creo nuove sinergie, punto gli occhi su te, sintonizzo il mio udito sulla tua voce e ascolto, e mentre ti guardo compiere i tuoi gesti alla tua maniera, e ti sento parlare di cose nuove, tu mi insegni, io imparo.

Imparo che stare bene con una persona è qualcosa di prezioso, che ti riprende dai baratri in cui caschi pur facendo finta che la caduta non sia mai avvenuta, e ti riporta in superficie, dove puoi riprendere fiato e rigenerarti per un pò, prepararti alle prossime infinite cadute, ai lividi che tutti i giorni improvvisamente sentirai far male, ai bernoccoli che ti spunteranno in fronte, finchè non sarai capace di evitare i fossi e schivare i ritorni dolorosi.

E sto bene mentre guardiamo un film divertente sul divano e mi massaggi la testa che un pò mi fa male (e vorrei vedere! ho preso tutte ste capate oggi…), e ridiamo insieme, poi andiamo a dormire insieme…e io sbatto i denti, e parlo di notte, parlo tanto ultimamente… ma tu mi accarezzi mentre io  blatero non so cosa, perchè sogno che qualcuno mi stia portando via le piante grasse…

E l’indomani facciamo colazione insieme, e passiamo il sabato a fare le faccende di casa insieme.

Mi insegni che si può stare bene anche senza incastrarsi in dinamiche sentimentali, mi insegni che la semplicità è la risposta più giusta a tanti interrogativi molto più spesso di quanto possa sembrare, e invece noi siamo esseri fatti per complicare, drammatizzare, rattristare e mortificare il bello.

I francesi hanno una parola che trovo meravigliosa nella sua surrealità, problématiser, indica la capacità di creare un problema anche dove non esiste, come spunto per suggerire un’azione e spacciarla come risolutiva, o almeno questa è l’interpretazione che ho dato io all’uso che ne fanno.

E anche se in italiano non esiste un concetto del genere, di fatto è quello che facciamo spesso, quando ci convinciamo che la semplicità sia noiosa, che le comfort zone siano pericolose, che la vita comincia dove finisce il divano.

Mentre tu mi insegni che l’equilibrio è fondamentale, le isole deserte sulle quali naufragare sono essenziali, ritrovarsi in gesti naturali e spontanei, chiudersi di tanto in tanto nella bolla e mostrarsi solo per ciò che si è realmente, ha una rilevanza sostanziale per prepararsi ad affrontare il lato sconosciuto del mondo, per andare belli carichi oltre i confini del sofà.

Mi insegni che si può stare bene anche senza amare. Perchè amare è cosa diversa da una tranquilla routine quotidiana che poi diventa condivisioni di interessi e poi voglia di stendere il bucato insieme.

E richiede tempo per farsi riconoscere, per convincerti a crederci.

E non è quasi mai semplice, perchè è una cosa talmente tanto più grande di noi che spaventa, l’amore è talmente più forte delle nostre scelte razionali che continua a vivere autonomamente dentro di noi anche quando non lo vorremo più.

L’amore è una cosa per la quale bisogna prepararsi, alla quale bisogna essere pronti, che bisogna conoscere visceralmente, e che troppo spesso confondiamo con lo stare bene con qualcuno.

E invece è un’altra cosa.

E torna. Torna negli oggetti, nelle coincidenze, nella curiosità di ricercarsi.

Ma ci sei tu e spengo il cervello. E spengo anche la parte di cuore dove ho messo a cuccia l’indiscutibile amore che continuo a provare per chi forse non si era preparato, non era pronto, non mi conosceva ancora abbastanza.

Un amore che non richiede più di essere ricambiato, di cui posso parlare adesso senza temere più di perderlo, perchè ne ho fatto un tesoro solo mio e nessuno può più portarmelo via, neanche chi mi ha negato il suo di amore, perchè è tanto e tale da non aver più bisogno di nulla di più che sapere l’altro sereno, risolto, proiettato verso il futuro che desiderava.

Per adesso il divano, la tv, e il tuo abbraccio è tutto quello che serve.

– Ho cucinato un pò sciapo sta sera, vè?

– Non ti preoccupare, sono abituato a mangiare con poco sale. Che poi il sale fa male Ori!

 

Hai ragione. Però se manca, manca.

2 pensieri su “Senza sale

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