Storia di una Principessa

La didattica a distanza, che a scuola di mia figlia per fortuna funziona benissimo, sta avendo in questa casa un meraviglioso risvolto positivo che non avevo immaginato.

Quando posso approfittarne, ascolto le lezioni e mi riapproprio di un pò di quella cultura base che ormai in gran parte avevo dimenticato: un ripasso di geometria, le nozioni di tecnologia, due risate sui workout assegnati dai prof. di educazione fisica per far fare un pò di moto ai ragazzi, che però solitamente si abbattono su di Anna con una forza uguale e contraria alla voglia di vivere che una undicenne, il cui stato sentimentale oscilla tra “in una relazione stabile con il divano” e “inizio di un rapporto a distanza con il frigorifero”, può avere alle 8 di mattina…di lunedì!

Ma il giovedì alla terza ora Anna ha lezione di epica.

La professoressa spiega con la dedizione che non ricordavo più potesse esistere in un docente, e prova a trasmettere ai ragazzi tutto il contenuto emotivo ed empatico di alcuni versi dei brani dell’Eneide.

E’ un’ora in cui io mi fermo e ascolto di nascosto, seduta in un angolo del corridoio di casa mia, i miti di cui parla Virgilio che mi riportano in una dimensione verosimile e simbolica della storia di Roma e nelle vite dei personaggi che l’hanno vissuta.

L’Eneide, che è un poema encomiastico, nato cioè con l’unico obiettivo di esaltare la grandezza di Roma e la sua creazione, nasconde invece in ogni passo un profondo contenuto umano e sovraumano, che rende il racconto sempre più la storia dei personaggi che lo animano piuttosto che la narrazione di un periodo.

Ed è anche molto spesso la storia di donne caratterizzate da una grande modernità.

Una di queste per esempio era Didone, legittima erede al trono di Tiro. Osteggiata dal fratello che ambiva al potere, scappò da Tiro dopo essere rimasta vedova per mano del fratello stesso e grazie alla sua arguzia riuscì a portare con sé soldati, navi e ricchezze, e sbarcò sulle coste della attuale Libia dove fondò Cartagine, anche in questo caso ottenendo grazie alla sua astuzia un territorio ben più grande di quanto il re Iarba avesse preventivato di riservarle.

Didone era insomma una donna intelligente, risoluta, autonoma, determinata, una di quelle di cui oggi si direbbe: si è fatta da sola a dispetto della vita comoda che avrebbe potuto comunque avere pur non essendo una sovrana.

Una di quelle che io invece definirei emancipata, secondo la vera concezione di emancipazione femminile, che non attiene ad una semplice gara tra generi, ma piuttosto riguarda la necessità che alle donne vada riconosciuta la libertà di poter raggiungere i traguardi che si pongono, qualsiasi essi siano, indipendentemente da pregiudizi e limitazioni sociali e culturali, indipendentemente da quello che gli altri si aspettano, in ogni direzione degli eccessi, purché le tenga fedeli solo al proprio ideale di giusto o sbagliato.

Una donna, insomma, che non deve ispirarsi a nessun modello femminile precostituito, riconosciuto come quello corretto dal contesto in cui vive o da qualcuno che per lei conti in quel momento, ma che deve ascoltare l’unico pulpito che realmente ha senso che lei ascolti nella sua vita: il suo.

E Didone infatti proseguì nella sua vita centrata su se stessa fin quando non incontrò Enea, l’uomo che toccando il lato sentimentale di questa donna, le ricordò nuovamente di quanto fosse bello abbandonarsi all’amore, alla passione, alla condivisione della propria vita.

Didone quindi scelse, dopo anni di rispettosa vedovanza, di avventurarsi nuovamente nell’amore.

Ma Enea divenne troppo presto, purtroppo, anche l’uomo che essendo destinato alla grande impresa di fondare Roma, con una incomprensibile dose di crudeltà, non appena richiamato dagli Dei che gli ricordarono di dover tornare al suo fato, lasciò Didone, abbandonandola alla sua disperazione con una partenza che ebbe più le sembianze di una fuga che di un tanto accorato quanto doveroso addio.

Didone impazzì dal dolore, ma nella sua follia trovò le forze, ancora una volta, per far richiamo a tutta la sua lucidità ed astuzia e riuscì addirittura a convincere sua sorella a preparare per lei la pira sacrificale sulla quale poi si sarebbe uccisa trafiggendosi con la stessa spada che Enea le aveva regalato.

Dalla descrizione di Virgilio il dolore di Didone è un dolore scomposto e disperato, l’agonia è tale poiché nella sua decisione di morire prima del tempo, Didone aveva involontariamente sfidato Proserpina, regina dell’oltretomba, la quale per questo aveva deciso di punirla e non liberava l’anima della donna dal suo corpo, tagliandone il leggendario capello d’oro.

Fu solo grazie ad un atto di pietà di Giunone, moglie di Giove, che Didone fu liberata dallo strazio.

Ed è qui che si racchiude tutta la modernità di questa storia antica.

Didone, che nella sua vita ha sempre scelto e realizzato quello che riteneva più giusto per se stessa, forte della sua determinazione, incurante di quanto attorno a sé si credesse, coraggiosa al punto di sapersi difendere persino dalla cattiveria del fratello, non riesce, nonostante la sua lucida convinzione e la sua solita determinazione, a realizzare la sua ultima volontà di morire per via di un’altra donna, Proserpina.

Quante volte pensiamo, soprattutto oggi, che nella storia dell’emancipazione femminile il problema siano stati e siano tuttora gli uomini.

La verità è invece che molto spesso il motivo per cui molte donne non possono scegliere di essere quello che vogliono, non riescono ad esercitare pienamente il diritto di definire soggettivamente il proprio stile di vita, il proprio orientamento sessuale, le proprie ambizioni lavorative, non riescono a percorrere quella che sentono la propria strada insomma, risiede nella mancanza di collaborazione e supporto delle altre donne, nei condizionamenti dai quali noi per prime troppe volte non riusciamo a liberarci e, nei peggiori dei casi, addirittura dipende proprio dai pregiudizi delle altre donne.

Perché guardare con poca stima una donna che sceglie di amare un’altra donna?

Perché giudicare chi ha deciso di dedicare la propria vita alla famiglia invece che al lavoro o al contrario, condannare chi ha dato più spazio alla carriera invece che al focolare domestico?

Perché pensare male di chi decide di non diventare madre, o di chi invece non ci rinuncia?

Perché criticare chi sogna una vita da principessa o chi invece si sente una guerriera e da tale si comporta?

Chi decide cosa sia giusto e cosa sia sbagliato? Chi definisce il modello di donna universalmente riconosciuta in quanto “perfetta”? Non esiste.

Ma soprattutto perché, in quanto donne, non supportare tutte quelle donne che ogni giorno cercano solo di esaudirsi e realizzarsi in ciò che loro ritengono corretto per se stesse?

Pur non condividendone le scelte pratiche, perché non sostenerle solo in nome della loro sacrosanta libertà di scelta?

La sequenza descrittiva della morte di Didone racconta con particolari dolcemente strazianti di Iride, la ninfa mandata da Giunone, che spezza il capello d’oro che lega il corpo della donna alla sua anima, in un atto che è liberatorio per Didone, e che “svanisce la vita nel vento”.

Se a questa morte diamo il senso della conquista della libertà dal dolore a cui Didone mirava con il suo gesto, per quanto estremo, l’aspetto tragico dell’evento in qualche mondo passa in secondo piano, ed è il realizzarsi di Didone ciò che conta.

E seppur in maniera drammatica, la scena chiude il cerchio sulla trama di questo pezzo di storia poiché è l’evento che spiega in maniera inequivocabile come tutte le grandi imprese richiedano necessariamente lacrime e sangue. Sempre.

Nel prosieguo, Didone scende agli inferi e si ricongiunge con il suo primo amore. Enea, in un suo viaggio extracorporeo all’Inferno, la incontrerà e proverà a chiederle perdono. Ma lei lo ignorerà.

Alla fine Didone ce la fa e si libera. Torna libera e torna all’amore.

E’ solo una storia, è evidente, ma contestualizzata nel modo giusto, letta con occhio inquisitivo, ha una serie di importanti simbologie che compongono un potente messaggio: il sacrificio ci porta agli obiettivi, il rispetto e il sostegno reciproco facilitano il percorso, la “morte” sono gli inciampi che capitano di tanto in tanto e che dobbiamo superare per proseguire il nostro cammino e perfezionare sempre più la rotta. Tenendo a mente ogni volta che basta dimenticare l’errore e ricordare la lezione. Per sopravvivere.  E andare avanti.

La principessa è viva. Evviva la principessa!

 

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Nell’immagine una delle creazioni di Fools Paradise, un’incrocio tra le romantiche principesse del videogame Super Mario Bros e la stravagante e misteriosa Mia Wallace di Pulp Fiction. La statuetta di una principessa sui generis, insomma. Capito, si? 😉

 

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