Il clandestino

“Che brutta giornata ho avuto!”

Quante volte avremmo esordito così durante una telefonata serale ad una persona cara o rientrando a casa dal lavoro a cercare conforto tra le nostre cose, accanto a chi comprenderà l’insofferenza dovuta ad una incomprensione con il capo, una discussione con l’amica, il tempo perso nel traffico, l’allergia, le preoccupazioni, gli imprevisti, la stanchezza, una fidanzata che non capisce, un fidanzato che non si fa capire…

Sono queste le cose che rendono brutta una giornata, finché qualcosa di brutto non accade davvero.

Perché quando qualcosa di veramente traumatico capita e rende tutto completamente diverso, il nostro sistema dei valori svalvola, e ognuna di quelle cose assume un’importanza nuova.

Tutto trova una priorità differente, ma tutto rimane pur sempre relativo.

Resto molto spesso da sola in questo periodo di quarantena e mi chiedo cosa facciano gli altri nelle loro case.

Il pensiero più bello e rincuorante è legato all’immagine di tutte le coppie, giovani e anziane, che durante i canti in balcone ballavano o si abbracciavano felici nonostante tutto. Che fortuna hanno questi, che sfuggendo alla routine potranno finalmente cogliere l’opportunità di stare sempre insieme per viversi in momenti che non hanno mai avuto modo di sfruttare, conoscersi come non si erano mai potuti vedere prima, godersi.

Poi lo so che non è quasi mai così, ma mi piace sempre pensare che questa situazione possa aiutare la maggior parte di noi a far emergere il buono che ci portiamo dentro, il clandestino gioioso che abita in noi e che troppo spesso recludiamo nel profondo del nostro ego, seppellendolo sotto quintali di discorsi auto-motivazionali che ci gonfiano di supponenza, pretenziosità e sicurezze poco utili.

E penso che questo clandestino gioioso sia quello che, messo nelle condizioni di guidarci, riesca a darci il giusto slancio per stare bene con gli altri superato l’isolamento, la clausura e l’incredulità.

Faccio la conta di quelli che non hanno risposto ad un mio messaggio di saluto e mi affretto a rispondere a quelli a cui non ho dato subito un segno della mia gratitudine per avermi pensata. Perché il clandestino che ho dentro in questi giorni mi ha suggerito quanto importante sia ricordarsi del cuore che si stringe quando pensi a qualcuno che non potrai riabbracciare a Pasqua per la prima volta in 41 anni di vita, e che quindi in questo momento ogni sorriso, se pur virtuale, vale cento volte più delle lacrime che versi dopo averlo inviato o fatto sentire al telefono.

Penso anche a quelli come me, che restano soli con le loro domande su ciò che potrebbe essere stato se solo….se solo avessero scelto delle parole diverse prima di iniziare quella discussione, se solo fossero partiti per tornare dalla propria famiglia qualche giorno prima, se solo si fossero dati una chance diversa in gioventù, se solo…

E penso alla fatica che si fa a sistemare questi pensieri. Perchè quando si è soli e la voglia di cucinare è passata, gli armadi sono talmente grandi che non c’è bisogno di cambio di stagione e delle pulizie di primavera non te n’è mai fregato nulla, i pensieri tornano e pretendono di essere anche loro sistemati in qualche cassetto. E allora, mentre la casa ancora profuma dell’ultima focaccia che hai infornato, devi decidere come gestire, non potendoli rimuovere, ma dovendo imparare a sistemarli tra le cose a cui non puoi più consentire di intralciare il tuo andare avanti.

E lo fai, mentre il clandestino ti ricorda con serenità che ormai sono solo pensieri e che, d’accordo, forse un pò stai male, ma non come chi sta male davvero. Quindi li riponi con delicatezza sotto i maglioni e ti ricordi che sempre, inarrestabili, arrivano pensieri nuovi.

E penso poi a quanti soffrano per la paura.

La paura del contatto e poi del contagio.

La paura di chi pensa a sé, e teme l’altro che diventa solo portatore della malattia e di tutto il dolore che causerebbe, della morte, che in questo caso è una morte atroce e solitaria, che non concede nemmeno il tempo di dire addio a chi resta.

La paura di chi invece non sa essere egoista, come mia madre, che adesso non vuole più vedere nemmeno i figli o i nipoti perché deve proteggere mio padre, che è immunodepresso e molto debole in questo momento. La paura per amore che ti fa rinunciare ad altro amore…

Oppure, la paura che provo io in questo momento, cioè quella che tutto passi e nulla cambi, che l’azzeramento a cui questa chiusura ci sta portando, non sia altro che una virgola invece di essere un punto. Che quando tutto sarà finito ognuno riprenderà da dove ha lasciato, con lo stesso atteggiamento di invincibilità, intransigenza e spavalderia, dimenticando di aver avuto la prova che siamo tutti solo umani vulnerabili e non infiniti. Come se tutto questo non avesse insegnato nulla. Come se non avessimo recepito il messaggio.

Perché il messaggio c’è, riguarda la considerazione che abbiamo di noi, del prossimo e del concetto di libertà.

Saremo in grado di ritornare a fronteggiare l’altro e finalmente renderci conto che esiste, e non banalmente come presenza ma come essenza che non va solo guardata ma va vista, e a cui va riconosciuto un valore paritetico al nostro se non addirittura maggiore per tutto quello che può aggiungere alla nostra vita?

Riusciremo a rinunciare all’egoismo e all’egocentrismo che fino ad ora ci ha mandato avanti a spintoni violenti e che abbiamo voluto sempre giustificare in nome delle nostre ambizioni, dei nostri desideri, delle nostre fameliche necessità, generando nei rapporti dei disequilibri tali da sminuire fino a far scomparire i rapporti stessi?

E in quanto al nostro senso della libertà, capiremo finalmente che la nostra necessità di sentirci liberi non può significare neanche solo il rischio di dolore o sofferenza di un altro? Saremo in grado di fare nostra l’importanza del concetto di reciprocità, di collaborazione, di accoglienza?

Da dove ripartiremo dopo?

Io non lo so, su questo io e il mio clandestino ancora non abbiamo deciso il da farsi, quando tutto sarà finito. Sappiamo di certo che la nostra sarà una ripartenza selettiva, sceglieremo ogni cosa ricordando.

E non so ancora come tornerò a toccare qualcuno che non sia mia figlia, ma so che oggi farei di tutto per riavere quelle piccole brutture della vita che, confrontate a tutto quello che sta succedendo, non sono nulla di terribile.

Mi chiedo anche: ma se avessimo potuto vedere prima quello che ci aspettava, sarebbe andata diversamente? Avremmo capito subito che, a dispetto di ciò che sembravano, quelli erano momenti irrinunciabili ed infondo molto belli della nostra vita?

Non ho una risposta. Ma intanto vi lascio un paio di video brevi che mi sono piaciuti e che trovo possano essere degli ottimi spunti di riflessione, anche se il primo dei due ha riferimenti religiosi, io provo a trarne il senso generale. Che Dio possiamo chiamarlo Allah, Karma, Destino, Congiuntura Astrale oppure dargli il nostro nome, ma il concetto non cambia.

Sono entrambi di Massimo Recalcati, psicoanalista di fama internazionale.

https://bit.ly/39KLl3u

https://bit.ly/3bR5w19

E poi, per sdrammatizzare un pò, vi regalo le mie due playlist di questo periodo.

La prima con sonorità allegre e rasserenanti, da ascoltare mentre sistemate casa, per esempio, per trovarvi a ballucchiare senza rendervene conto con chi è con voi in questi giorni …o anche con il manico della scopa se siete soli, come faccio io! 🙂

https://spoti.fi/3aV50z2

La seconda un pò più rockettara, per i momenti in cui si ha bisogno di qualcosa di più deciso…ma senza esagerare! 😉

https://spoti.fi/34fnrvV

Sorridetevi allo specchio, date la precedenza alla gentilezza, alla bontà verso gli altri e verso voi stessi.

Tenete duro. Liberate il clandestino. ❤

2 pensieri su “Il clandestino

  1. la Marghe ha detto:

    Letto tutto d’un fiato, bellissimo! Solidale con la tua mamma, io proteggo me stessa, immunodepressa, e i miei genitori anziani con un isolamento estremo, interrotto solo per le andate in ospedale. Ti mando un sorriso e un abbraccio virtuali😍

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